C’era una volta un’America che si è costruita su una delle contraddizioni più grandi della storia: la lotta per la libertà e l’uguaglianza, mentre un intero gruppo di persone veniva oppresso, schiavizzato e denigrato. Il sogno di una nazione libera e uguale per tutti, che doveva essere il faro di ogni aspirazione, non ha mai incluso i neri. Piuttosto, da sempre, la loro presenza è stata una macchia che l’America cercava di ignorare, di nascondere, di reprimere. Ma questa storia, fatta di silenzi e ingiustizie, è raccontata a gran voce da chi ha avuto il coraggio di alzare la testa e la versione intera la trovi nella versione audio qui.
Era il 1903 quando W.E.B. Du Bois scrisse nel suo celebre libro The Souls of Black Folk le parole che avrebbero riecheggiato per più di un secolo, descrivendo quella che sarebbe diventata una triste realtà: "Giorno dopo giorno, il Negro viene sempre più a considerare la legge e la giustizia non come protezioni, ma come fonti di umiliazione e oppressione." Du Bois non parlava solo della brutalità della polizia o delle discriminazioni legali. Parlava di un sistema che non vedeva nei neri nemmeno esseri umani, ma semplici ostacoli sulla strada del progresso. Perché, come scriveva lui, la legge non era mai stata dalla parte dei neri: era stata progettata per proteggerli, ma solo nel senso di controllarli, di marginalizzarli, di metterli sotto il giogo delle disuguaglianze sistemiche.
Più di un secolo dopo, nel 2017, Michael Eric Dyson raccontava una storia che potrebbe sembrare un’eco delle parole di Du Bois. Raccontava di suo nipote, Mosi, di sette anni, che ogni volta che vedeva un poliziotto, temeva per la sua vita e quella di suo padre. Non capiva perché il colore della sua pelle dovesse essere la causa di quella paura. "Non riesce a capire perché il colore della sua pelle sia un motivo per essere preso di mira dalla polizia", diceva Dyson, ricordando come i bambini neri crescano con il peso della paura, un peso che sembra non abbandonare mai. La paura di essere visti come pericolosi, anche solo per camminare in una strada, essere vicino a una macchina, o semplicemente esistere.
Nel 2023, Kamauu, un artista che rappresenta la nuova generazione, lanciava un grido di denuncia simile, che vibrava di rabbia e frustrazione. Il rap, come sempre, era il suo strumento di battaglia. Parlava di come la polizia sia ancora un nemico invisibile per chi ha la pelle nera, un nemico che non ha mai smesso di perseguitare, che non ha mai smesso di fare sentire la sua presenza in ogni angolo della società. "Scusa se allungo la mano, quando mi hai sparato / Stavo prendendo il portafoglio", diceva Kamauu, ma quella non era solo una canzone. Era la realtà che ogni giorno si ripete, con nuovi capitoli di una storia che non sembra mai finire.
Eppure, nel cuore di tutto questo dolore, di questa disuguaglianza e di questa sofferenza, la musica ha sempre trovato il suo spazio per raccontare una storia di resistenza. Dal jazz al soul, dal rap all’hip hop, la musica è stata la lingua della rivolta, il modo in cui una cultura che non aveva voce ha trovato finalmente un modo per urlare. "We make our own music to celebrate our dead where we must," diceva la musica nera. Un grido che non aveva bisogno di giustificazioni, ma che raccontava un’America che non può più essere ignorata.
All’inizio del XX secolo, dopo la Guerra Civile e le atrocità commesse dalla polizia e dai gruppi suprematisti bianchi, arrivò l’era delle leggi Jim Crow, leggi razziste che dividevano il paese in due. Un’America che si sforzava di sembrare giusta e democratica, ma che in realtà era costruita su una fondazione marcia, dove le persone nere venivano trattate come cittadini di serie B. La legge non proteggeva i neri, ma li discriminava a livello legale ed economico. Il razzismo sistemico divenne così istituzionalizzato, che anche le mappe fatte dal governo, come quelle della Home Owners Loan Corporation, segnavano con il rosso i quartieri dove vivevano le minoranze etniche, creando quella che sarebbe stata definita "l’altra America", l’America dei neri, degli ispanici e di tutte le persone che non avevano il privilegio di essere bianche.
Nel 1966, Stokely Carmichael, leader delle Pantere Nere, parlò di questo razzismo sistemico, che non era solo frutto di pregiudizi individuali, ma era un modo di costruire leggi e politiche che segregavano e marginalizzavano le minoranze. Carmichael lottava per il Black Power, un movimento che rifiutava l’integrazione e la non violenza predicata da Martin Luther King. Il suo appello era chiaro: la lotta per la libertà e l’autodeterminazione delle persone di colore doveva essere mossa dalla consapevolezza della propria identità e della propria cultura, dal rispetto per sé stessi.
Lottare contro queste disuguaglianze è stato uno sforzo che non si è mai fermato. Nel 1968, il Fair Housing Act cercò di porre fine alla discriminazione razziale nelle abitazioni. Tuttavia, anche dopo più di cinquanta anni, il cambiamento reale non è arrivato. Nel 2021, un sondaggio rivelava che il 65% dei neri americani riteneva che non fosse stato fatto abbastanza per migliorare la loro vita, e l'80% dichiarava di aver subito discriminazioni. I sogni di cambiamento, di uguaglianza, di giustizia sembrano ancora lontani. Ma, come scriveva Joey Bada$$, "Land of the free" è un’illusione per molti. La libertà non è mai stata estesa a tutti.
Oggi, l’hip hop, che è nato dalle strade come voce dei senza voce, continua a raccontare la storia di un popolo che non si è mai arreso. Talib Kweli, che da quando ha lanciato l'EP Hip Hop For Respect dopo l’assassinio di Amadou Diallo, continua a usare la sua musica come una potente forma di protesta. L’hip hop è diventato un mezzo per denunciare le ingiustizie, per lottare per il cambiamento. E non solo attraverso le parole. Artisti come Adrian Younge, con il suo disco The American Negro, raccontano la brutalità della storia, quella che ha marchiato l’America in modo indelebile. La copertina del suo album, una cartolina che richiama i linciaggi del passato, è un grido silenzioso ma potentissimo. Un richiamo a non dimenticare mai.
La musica e la cultura hip hop continuano a denunciare. Le voci di oggi, che si ispirano a quelle dei grandi del passato, come Billie Holiday e Nina Simone, sono il faro che guida la resistenza. Perché, come diceva James Baldwin, “Il colore della pelle non è una realtà umana, ma politica”. Ed è proprio da lì che dobbiamo partire, per cercare di costruire un mondo più giusto, più uguale. Un mondo che forse, un giorno, ascolterà davvero la voce di chi ha lottato e continua a lottare per un cambiamento che è già troppo lungo in arrivo.
Andando qui trovi la lista sempre aggiornata delle persone di colore uccise per mano della polizia negli Stati Uniti e per mano di comuni cittadini. Intanto Tobe Nwigwe con i suoi 2 milioni di follower su Instagram e co protagonista di ‘Mo’ su Netflix richiama i fatti riguardanti Breonna Taylor in ‘I Need You To’. La canzone è stata eseguita per la prima volta in pubblico durante una delle dirette streaming in tempo di pandemia. Nel 2020:
Arrestate gli assassini di Breonna Taylor
Tutti voi che pensate che abbiamo bisogno di più prove, siete ridicoli
Ho detto, arrestate gli assassini di Breonna Taylor (Esatto)
E anche Elijah McClain, avete trattato quel ragazzo in modo indegno
Arrestate gli assassini di Breonna Taylor
Tutti voi che pensate che abbiamo bisogno di più prove, siete ridicoli
Ho detto, arrestate gli assassini di Breonna Taylor (Esatto)
Capite l'atmosfera? Ora, uscite dalla mia pagina
Meno di un minuto, un messaggio diretto, una costruzione che riesce a farsi piacere dagli algoritmi social ottenendo nella prima settimana di distribuzione 50.000 visualizzazioni su YouTube, 723,000 su Instagram e 100,000 su Tik Tok. Oltre a questo un altissimo fattore di condivisioni, un’esposizione mediatica degna dei più grandi influencer con tutti i pro e soprattutto i contro di questa nuova forma di diffusione organica. L’artista, che tra i fan più attivi ha Michelle Obama, però guarda oltre:
Tutti i meme, la risonanza, la canzone, comunque la gente risponda, ami, chiunque la riposti, non significano assolutamente nulla se le persone che hanno ucciso Breonna Taylor non vengono arrestate.
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